Dove la fauna regna e la natura incanta
Quando la nebbia del mattino inizia a diradarsi, una enorme macchia bianca appare in lontananza. La cima innevata del monte Kilimangiaro, con i suoi 5895 metri di altezza, svetta imperiosa sulla superficie arida e piana della savana. Mi trovo nel Parco Nazionale di Amboseli, uno dei più preziosi gioielli naturalistici del Kenya.
Di fronte a me, un branco di leoni sonnecchia tranquillo.
Sto osservando i formidabili predatori da diversi minuti: una decina di leonesse è sdraiata nell’erba alta e non sembra avere alcuna intenzione di muoversi.
Solo un possente maschio, di tanto in tanto, solleva brevemente il capo da terra, forse per lanciare uno sguardo distratto in direzione della mia fotocamera. La sua criniera è scossa da un vento leggero ma fresco, tipico delle albe di Agosto a queste latitudini.
Il leone è solo uno dei tanti mammiferi di grossa taglia che si possono incontrare ad Amboseli.
Il Parco è un luogo ideale per l’avvistamento di erbivori quali giraffe, gnu e zebre, oltre che di carnivori quali le iene maculate e i ghepardi.
Le vere star di questa incredibile area protetta sono tuttavia gli elefanti, che si muovono in gruppi numerosi e con il loro calpestio modellano il paesaggio.
Le loro inconfondibili impronte, una in fila all’altra, creano solchi che incanalano le acque, mentre il loro incedere maestoso e le loro prensili proboscidi sono in grado di radere al suolo una foresta in pochi minuti.
Amboseli tuttavia non è solo grandi mammiferi. Intorno a queste straordinarie creature che da tempo immemore esaltano l’immaginario collettivo, si muove una fauna più timida e forse meno appariscente, ma non per questo meno interessante.
Sono infatti quasi 550 le specie di uccelli che si possono avvistare nei confini della riserva, che si estende su quasi 390 km quadrati di territorio.
Nel cuore della savana più brulla, là dove l’erba si tinge di un giallo chiaro in grado di abbagliare la vista nelle ore centrali della giornata, si incontra sovente l’otarda di Kori, che vanta un primato molto particolare: si tratta dell’uccello più pesante al mondo che sia in grado di volare!
Nello stesso ambiente si muovono stormi vocianti di storni superbi, che con il loro piumaggio variopinto rappresentano una distrazione irresistibile per il fotografo in pausa pranzo. E’ sufficiente infatti fermare la jeep sotto un’acacia, con l’intenzione di gustarsi un pasto frugale prima di riprendere il safari, per attirare numerosi esemplari di questa specie, che fanno di tutto per accaparrarsi anche solo una briciola di pane.
Non sempre gli uccelli di questa area protetta sono però confidenti come gli storni. Le loro sono molto più spesso apparizioni fugaci, e la possibilità di scattare fotografie indimenticabili all’avifauna va comunque guadagnata con pazienza.
In questo viaggio ho avuto la fortuna di avere compagni di birdwatching eccezionali, e non mi riferisco solo agli occhi attenti e indagatori della mia compagna, o a quelli allenatissimi della nostra esperta guida. Ad accompagnarmi sul campo sono stati anche uno stupendo Leica Noctivid 10×42 e un leggero e tascabile Leica Ultravid HD Plus 10×32.
Pur litigandomeli con gli altri due occupanti della jeep, anch’essi comprensibilmente molto interessati al loro utilizzo, attraverso le loro lenti sono riuscito ad apprezzare avvistamenti inaspettati e rari.
Come dimenticare quando un bucorvo cafro, specie classificata come “Vulnerabile” dall’IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura), ci ha regalato una buona mezz’ora di osservazioni in cima a una collina erbosa?
Osservando questo spettacolare animale da distanza ravvicinata e con l’ausilio di uno strumento ottico di qualità come il Noctivid 10×42, si ha davvero l’impressione di viaggiare nel tempo.
E’ infatti impossibile non pensare a un dinosauro vivente, quando si scrutano i dettagli del capo del bucorvo: quella pelle nuda, quei bargigli rosso fuoco e quell’occhio vitreo ma allo stesso tempo tremendamente espressivo, avvicinano l’aspetto esteriore dell’uccello a quello di un rettile preistorico.
Molto più comune, ma non per questo meno affascinante, è la ghiandaia marina pettolilla, che non di rado si posiziona sulle cime degli alberi più bassi, in attesa di scattare sulla malcapitata preda, di solito una cavalletta o una piccola lucertola. Nemmeno la pioggia battente riesce a minare la bellezza delle sue piume!
Mentre ci si sposta in direzione delle zone più umide del Parco, si attraversano fitti boschetti di acacie, tra cui svolazzano uccelli di diverse specie. Tra questi, uno dei più inconfondibili è senza dubbio l’uccello topo marezzato, che con la sua lunga coda si appollaia spesso sulla cima delle acacie, apparentemente incurante delle rigide spine che le ornano.
Poco lontano, un richiamo roco sembra provenire dal cuore della palude. Occhi e orecchie a pelo d’acqua invitano a non avvicinarsi.
Gli ippopotami sono i signori di questi ambienti limacciosi, e condividono questo particolare habitat con altri animali potenzialmente molto pericolosi: i coccodrilli.
Aironi di diverse specie, colori e taglie sembrano contendersi con gli ibis e le onnipresenti oche egiziane ogni centimetro di riva. Un martin pescatore testagrigia è in attesa tra i rami secchi di un albero ormai morto. Il suo sguardo punta la superficie dell’acqua e il suo becco acuminato è pronto a sferrare il colpo decisivo sui malcapitati pesci sottostanti.
E’ al tramonto che i pellicani e le aquile urlatrici offrono lo spettacolo più impressionante.
Quella è l’ora in cui i voli di questi uccelli dall’impressionante apertura alare si tingono di una luce dorata e al fotografo non resta che scattare, nel quasi sempre vano tentativo di restituire anche solo una piccola parte della magia a cui sta assistendo.
Quattro giorni a spasso per Amboseli possono sembrare un’eternità, quando si pianifica un viaggio comodamente seduti sul divano di casa, ancora inconsapevoli degli spettacoli a cui si assisterà. Tuttavia, quando l’ultimo raggio di sole dell’ultimo giorno di viaggio si spegne dietro all’orizzonte, la malinconia ti assale subito.
La savana africana ti scava dentro, e ogni battito d’ali percepito, ogni proboscide levata al cielo osservata, ogni ruggito udito risuona nelle tue viscere a distanza di giorni, settimane, mesi, anni.
Una volta tornato in Italia, mentre seduto sul divano osservi il binocolo poggiato tristemente inerme e inutilizzato sul tavolo della sala, in attesa della prossima avventura, non puoi fare a meno di domandare alla tua compagna: “e se la prossima estate si tornasse in Africa…?”.
Leica Natura ringrazia Luca Giordano per il suo racconto e per le sue stupende immagini che ci portano in Africa con gli occhi e con il cuore.
Luca Giordano
Fotografo professionista dal 2015. Organizza viaggi fotografici, corsi e workshop in Italia e in diverse aree d’Europa. Collabora come fotografo naturalista e scrittore freelance con numerosi enti e riviste di settore. Scopri di più su Luca →
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